L’amicizia nella scrittura II

Pietro Bolognesi 16/07/24


Salmo 55,1-23

4) Amicizia come comunione

Sl. 55,14. Il Salmista si sente tradito da un caro amico e, malgrado la delusione derivante, rievoca la bellezza di un rapporto. Altri rapporti delusi li avrebbe sopportato, “ma sei stato tu, uomo che stimavo come mio pari, mio intimo amico”.
Uno dei doni più straordinari che Dio fa all’uomo è proprio la comunione. Fin dall’inizio, il disegno di Dio era un disegno per costruire una comunione tra gli uomini nel senso più pieno del termine. Adamo ed Eva dovevano essere una comunità adorante, dovevano essere una comunità servente, erano dei veri amici che dovevano adorare e servire. Quel progetto era un progetto straordinariamente importante nel piano di Dio, appagante, soddisfacente, eppure esso fu messo in discussione. Quando in 1Giovanni 3,11: viene detto “fin da principio”, la Scrittura ci sta dicendo che l’insegnamento di amarci gli uni altri non è qualcosa di nuovo ma qualcosa che c’era già alle origini. Esso fallì, ma grazie alla nuova alleanza i credenti riprendono cose originarie del progetto di Dio. La nuova alleanza fa di uomini e donne persone che sperimentano una vera passione per Dio, per la sua legge, per la sua parola e che desiderano crescere nella somiglianza a Cristo, fra le altre cose, in comunione con Dio. Egli ha redento il suo disegno. L’alleanza è stata ristabilita a causa del Signore Gesù e la comunione è avere qualcosa di comune (come uno).
La Scrittura ogni tanto evoca delle amicizie particolari, pensiamo ad esempio a Paolo e a Timoteo. Ci sono delle differenze ministeriali, sociali, ma viene detto “ti scrivo queste cose sperando di venire presto da te affinché tu sappia, nel caso dovessi tardare, come bisogna comportarsi nella casa di Dio, che è la chiesa del Dio vivente, colonna e sostegno della verità” (1 Tim. 3,15). C’è un desiderio autentico di trovarsi insieme ed esso abita nella comunione con il popolo di Dio. Siamo legati da dei rapporti profondi, ma all’interno del popolo di Dio. Non si tratta di amicizia per amicizia, ma di un’amicizia in un progetto più ampio e significativo che desta una particolare emozione.
Probabilmente tutti facciamo dei paragoni con la nostra esperienza e magari abbiamo la sensazione che le nostre relazioni faticano a risentire di questo grande progetto (chiesa come colonna e sostegno della verità). Magari si fanno anche delle cose insieme, qualche attività con dei riferimenti a Dio, molte parole, ecc… tutte cose che somigliano alla comunione, ma invece si tratta di pettegolezzo (parlo di altri), di banalità e la tensione per questa alta comprensione della chiesa risulta piuttosto sporadica. Spesso non ci rendiamo conto della difficoltà che una simile relazione comporta. Quando pensiamo alla ragione per cui dovremmo mantenere alto il profilo della comunicazione all’interno della comunità credente, lo facciamo pensandolo alle varie difficoltà che ogni credente vive durante la settimana. Alcuni esempi: la solitudine che vive ogni credente in quanto tale (sparpagliati nelle proprie vocazioni); la confusione ricorrente (babele dei falsi insegnamenti); la pressione valoriale: la confusione trasmette dei valori che danno l’impressione di essere molto semplici, quando invece si tratta di una faziosa elaborazione. Ho coscienza del catechismo che seguo tutti i giorni? Possiamo illuderci che il lunedì sia totalmente diverso dalla domenica, ma noi arriviamo nella comunità con il vero bisogno di ritrovare valori, speranza e comunione. Temo che qualche volta la perdiamo di vista, ma c’è questa catechesi dei disvalori nella nostra società che sarebbe assai ingenuo ritenere senza pericoli.
Mi rendo conto che queste persone hanno un bisogno cronico di comunione? Sono capace di sostenere i miei fratelli in queste cose? Altresì, quando penso ai miei amici, che valore ha la qualità della comunione con loro?
La comunione è effettivamente un bisogno che abbiamo ed essa non cresce nel silenzio spirituale. Ci sono alcuni cristiani che sanno parlare di qualsiasi cosa salvo che di Dio, ma così facendo la comunione non cresce. Affinché essa si consolidi occorre parlare della verità della fede. Quando costruiamo le nostre relazioni pensiamo a come le possiamo costruire nell’ambito di momenti come il culto. Come possono conoscerci le persone se non diciamo mai niente circa la nostra relazione con Dio? Sono queste le cose che ci riportano alla presenza di Dio, che alimentano le nostre relazioni. Penso ai due discepoli sulla via di Emmaus: non riconoscono il Signore Gesù, ma ascoltano le cose dette e solo a quel punto fanno il collegamento. Cosa compunge il mio cuore? Quel che dico compunge il cuore di chi mi ascolta?

5) Amicizia come dipendenza

Proverbi 17,17: “L’amico ama in ogni tempo”

Torniamo al tema dell’amicizia tra Davide e Gionathan. L’intesa, l’amicizia, la relazione tra i due è una relazione immediata (1S. 18,1). Non si tratta di un’intesa su basi intuitive o emotive, ma su qualcosa di molto più reale e razionale: sento quello che parla e quel modo di rapportarsi a sé, a Dio e agli altri mi porta a sentirmi legato a lui. Chi mi sente parlare si sente legato a me o tende a rimanere lontano?Talvolta si pensa che l’amore sia il punto di partenza e poi l’amicizia cresca con il passare del tempo. L’esempio di Gionathan e Davide fa pensare in termini diversi: prima ci sono le basi e poi c’è l’amicizia. Chi cerca veri amici si rende conto che non trova veri amici se non ha vere basi. Dunque, non è la forma della comunicazione in sé a stabilire il grado di vicinanza all’altro, ma il fatto di avere medesime basi. Non solo immediata, ma anche concreta. Era concreta anche se segreta. Il mantello (1S. 18,4) era un pegno tra i due come segno di un patto per cui era qualcosa di molto concreto e non retorico o romantico. I versetti in 1 S. 19,1-7 aiutano a capire la concretezza di tale amicizia: rischiavano la loro vita uno per l’altro, per questo si legge che l’amico ama in ogni tempo.
Un’amicizia, poi, pacata al punto da permettere ai due di riposarsi malgrado la drammaticità della situazione in cui versano (1 S. 19,41). Solo la morte li avrebbe divisi. L’amicizia era tale da restaurare l’altro in Dio (1 S. 23,16). Forse non sempre ci rendiamo conto che il nostro amico ha bisogno di tornare a Dio, ma come amico posso andare incontro anche a questi bisogni. 2 Samuele 2,21 un testo che descrive un amore rigenerato, spirituale, più forte dell’unione priva della grazia. Sia Davide sia Gionathan amavano il Signore veramente tanto e Dio diede loro il privilegio di avere un’amicizia sacra (dedicata). Nemmeno la morte sembra, per la vera amicizia, avere un peso rilevante (Luca 12,4).
Quando noi pensiamo alla comunione e alla dipendenza, noi pensiamo a questo tipo di relazione: “Non ho un amico che s’interessa alla mia anima. Non ho alcuno che mi spinga a considerare il Salvatore”. Pensiamo alle nostre amicizie…sono un amico timorato di Dio che dà ai suoi amici il senso di Dio?